giovedì 4 agosto 2011

Fiction pulp

Ci sono fatti di cronaca che raccontano più di quel che vorrebbero, diventano, come si suol dire, specchio dei tempi. Quella di cui sto parlando lo diventa non perché il fatto sia particolarmente significativo, ma perché lo è il resoconto che se ne dà. Dunque, qualche giorno fa c'è stata una rapina ai danni di una vecchietta nel centro di Genova; il ladro, intrufolatosi nell'appartamento sotto le spoglie di un idraulico e indotta la signora a entrare nel bagno - con la scusa, chissà, di controllare che funzionasse l'acqua calda - ce l'ha chiusa a chiave dentro, per poi dedicarsi con tutta tranquillità a svaligiare la casa, dalla borsetta allo scrigno portagioie, mentre dal bagno la poverina strepitava furibonda, fino a quando è stata liberata, dopo due ore, da un conoscente che andava a visitarla.

La vicenda è una di crimine comune, certamente spiacevole, specialmente dal punto di vista economico, per la vittima, ma a ben vedere conclusasi senza violenza e in tempi più brevi di quanto avrebbe potuto grazie al provvidenziale sopraggiungere dell'amico. Ma a leggerla sul giornale che la riporta scendono quasi dei brividi lungo la schiena: l'"aguzzino" "...l’ha chiusa nel bagno. Un giro di chiave. Un gesto semplice, ma carico di violenza." Riviviamo poi "le urla disperate", i "120 terribili minuti" di questa "storia inquietante", di questa "truffa con sequestro di persona", insomma, per concludere con le parole del salvatore, Paolo R., 55 anni, "quello che è successo è di una gravità assoluta". Ora: o il nostro cronista è un parente della signora tenuta ostaggio nel suo bagno, o la pagina di "nera" è ormai uno spazio obbligato sui quotidiani nazionali che va riempito anche nei giorni di meritate ferie della compagnia di giro di Avetrana, oppure c'è qualcosa che non va. In ogni caso, se un quotidiano a diffusione nazionale esce con una narrazione thriller-splatter di una storia che si adatta forse più al soggetto di una commedia brillante, e non viene sommerso di lazzi dai suoi lettori (che anzi nella pagina dei commenti deplorano cupi l'accaduto), significa che la nostra società ha perso un po' la bussola di quello che è terribile, allucinante, grave, e di cos'è un aguzzino. Siamo da anni affezionati telespettatori di zii, madri, figli, cugine, fidanzati, collaboratori domestici omicidi, maniaci sessuali, stradali, mafiosi; guardiamo serenamente film a base di squartamenti di budella con la benedizione dell'associazione genitori (basta che non si mostri una tetta), e invece di essere a rischio di assuefazione alla morte
e alla violenza siamo a rischio crisi isterica per una rapina in maschera. Che la risposta sia che la violenza, sempre più assente dalle nostre vite vere e sempre più confinata nel campo dell'intrattenimento, abbia perso ogni potenza espressiva, comunicativa autonoma e sia quindi solo fruibile tramite una rielaborazione letteraria che ne decreta essa sola, con lo stile che decide di adoperare, la portata drammatica, la capacità provocatoria? Che l'articolista del Secolo XIX sia l'anti-Tarantino? la risposta alla decostruzione del pathos? la costruzione sul non-pathos?

domenica 27 marzo 2011

150 e non sentirseli

Dunque ci è stato detto, qualche mese fa, che il 17 marzo avremmo dovuto fare una festa, per il centocinquantesimo anniversario dell'Unità d'Italia. Anche quelli mediamente istruiti non sapevano che il 17 marzo fosse una data in qualche modo memorabile, se lo fosse stata d'altra parte ce ne saremmo accorti prima; che il 14 luglio 1789, per dire, fosse successo qualcosa di grosso fu evidente non proprio dal 14 luglio (Luigi XVI la sera di quel giorno sul suo diario scrisse: "Rien") ma dal 15 sì. Eppure dal punto di vista storico e simbolico non si può dire che il 17 marzo del 1861 non sia una data da ricordare: quel giorno, con la proclamazione del Regno d'Italia - cioè, di fatto, il passaggio sotto la Corona di Vittorio Emanuele II di Savoia di tutti gli ex-stati della penisola italiana tranne Venezia e Roma - si ricostituisce l'unità politica dell'Italia per la prima volta dalla calata dei Longobardi nel sesto secolo, e quindi la si costituisce per la prima volta nella storia, visto che prima di allora non si può nemmeno parlare d'Italia in senso moderno, ma soltanto di Impero romano. Il problema quindi qual è? Perché il 17 marzo è stato un fulmine a ciel sereno nella coscienza collettiva?
E' il solito vecchio vizio d'origine del Risorgimento, la guerra di popolo senza il popolo, che è ancora alla base di tanti dei conflitti di oggi, la scarsa legittimità dello Stato in primis. L'Italia è stata fatta dal vertice, e da allora in poi l'unico modo per fare le cose è stato farle fare al vertice: lo sviluppo economico con le aziende in rosso fatte galleggiare con le tasse dei contribuenti, i servizi locali che si sentono del tutto autorizzati a sostenere che non possono funzionare senza trasferimenti miliardari dallo Stato, l'università, la cultura, la televisione eccetera, e quindi anche le feste, con il comico istituzionale chiamato in servizio a ravvivare il patriottismo recitando l'inno di Mameli (il quale a sua volta dovette ricorrere a Scipione a varie ed eventuali romanità per suonare eroico).

mercoledì 23 marzo 2011

Decìamos ayer

Mi ripropongo di ricominciare ad aggiornare questo blog, in parte commosso dallo scoprire che non è stato soppresso dopo più di un anno di abbandono, in parte perché mi manca scrivere i miei pensierini con un'estensione che non sia quella degli status di Facebook, che pure hanno progressivamente prosciugato i miei interventi qui. E poi adoro le vecchie istituzioni ancora in piedi, e qui si va verso i quattro anni. Sarkozy non era ancora all'Eliseo, e ora è quasi imperatore della Libia. Eccetera.