Dunque ci è stato detto, qualche mese fa, che il 17 marzo avremmo dovuto fare una festa, per il centocinquantesimo anniversario dell'Unità d'Italia. Anche quelli mediamente istruiti non sapevano che il 17 marzo fosse una data in qualche modo memorabile, se lo fosse stata d'altra parte ce ne saremmo accorti prima; che il 14 luglio 1789, per dire, fosse successo qualcosa di grosso fu evidente non proprio dal 14 luglio (Luigi XVI la sera di quel giorno sul suo diario scrisse: "Rien") ma dal 15 sì. Eppure dal punto di vista storico e simbolico non si può dire che il 17 marzo del 1861 non sia una data da ricordare: quel giorno, con la proclamazione del Regno d'Italia - cioè, di fatto, il passaggio sotto la Corona di Vittorio Emanuele II di Savoia di tutti gli ex-stati della penisola italiana tranne Venezia e Roma - si ricostituisce l'unità politica dell'Italia per la prima volta dalla calata dei Longobardi nel sesto secolo, e quindi la si costituisce per la prima volta nella storia, visto che prima di allora non si può nemmeno parlare d'Italia in senso moderno, ma soltanto di Impero romano. Il problema quindi qual è? Perché il 17 marzo è stato un fulmine a ciel sereno nella coscienza collettiva?
E' il solito vecchio vizio d'origine del Risorgimento, la guerra di popolo senza il popolo, che è ancora alla base di tanti dei conflitti di oggi, la scarsa legittimità dello Stato in primis. L'Italia è stata fatta dal vertice, e da allora in poi l'unico modo per fare le cose è stato farle fare al vertice: lo sviluppo economico con le aziende in rosso fatte galleggiare con le tasse dei contribuenti, i servizi locali che si sentono del tutto autorizzati a sostenere che non possono funzionare senza trasferimenti miliardari dallo Stato, l'università, la cultura, la televisione eccetera, e quindi anche le feste, con il comico istituzionale chiamato in servizio a ravvivare il patriottismo recitando l'inno di Mameli (il quale a sua volta dovette ricorrere a Scipione a varie ed eventuali romanità per suonare eroico).
domenica 27 marzo 2011
mercoledì 23 marzo 2011
Decìamos ayer
Mi ripropongo di ricominciare ad aggiornare questo blog, in parte commosso dallo scoprire che non è stato soppresso dopo più di un anno di abbandono, in parte perché mi manca scrivere i miei pensierini con un'estensione che non sia quella degli status di Facebook, che pure hanno progressivamente prosciugato i miei interventi qui. E poi adoro le vecchie istituzioni ancora in piedi, e qui si va verso i quattro anni. Sarkozy non era ancora all'Eliseo, e ora è quasi imperatore della Libia. Eccetera.
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