domenica 6 maggio 2007

Non siamo nostalgici

Spulciavo or ora una cronologia della storia del rock su un sito internet. Prendendo a caso, questo è il resoconto del 1973:

  • Il glam contagia anche Lou Reed, che pubblica "Transformer"
  • Allman Brothers Band, Grateful Dead e Band suonano dal vivo a Watkins Glen. Il pubblico è composto da seicentomila spettatori
  • Esordio di Tom Waits con "Closing Time"
  • Bob Dylan pubblica "Knocking On Heaven's Door"
  • Esce "Tubular Bells" di Mike Oldfield, opera rock ispirata al "Bolero" di Ravel
  • Graham Parsons muore a 26 anni
  • Muore Barry Oakley degli Allman Brothers
  • I Genesis pubblicano "Selling England By The Pound"
  • I Neu! pubblicano "Neu! 2", uno dei capolavori del kraut-rock
  • I Faust pubblicano "Faust IV", disco-pioniere della new wave
  • Il film "American Graffiti" di George Lucas lancia il revival musicale anni 50 e 60
  • Debutto dei Queen
  • Debutto di Bruce Springsteen

Sempre a caso, tra gli anni più recenti, questo è il 2001:

  • Muore John Fahey
  • Muore Joey Ramone, leader dei Ramones
  • Napster viene condannato per violazione delle leggi sul copyright
  • Si ricostituiscono i Roxy Music
  • I Radiohead pubblicano il capolavoro "Amnesiac"
  • Muore George Harrison, chitarrista dei Beatles
  • Muore Florian Fricke, leader dei Popol Vuh
  • Muore Michael Karoli, violinista e cantante dei Can

Notate differenze?

Premesso che è più facile e meno controverso stabilire gli eventi fondamentali del passato che quelli del presente, in musica e non, si può immaginare che nel 2001 sia successo qualcos'altro oltre che l'uscita di Amnesiac e una morìa di musicisti in qualche caso cotti da più di vent'anni. Non so, ad esempio è uscito il primo disco di Antony and the Johnsons; o Gold di Ryan Adams; o Melody A.M. dei Royksopp, o in Italia il "Sussidiario" dei Baustelle. Andrà a gusti. Ma sarà comunque meno deprimente di una lista di deceduti.

La gerontofilia musicale che dilaga (in Italia) è probabilmente una delle sfaccettature di un generalizzato passatismo molto in voga (sempre in Italia), ma coinvolge anche un altro aspetto alquanto deprimente della nostra generazione, e cioè il complesso d'inferiorità culturale nei confronti delle generazioni precedenti, spesso con l'incoraggiamento di queste ultime che non chiedono di meglio che favoleggiare sulla loro gioventù, su come si contestava allora, come ci si divertiva allora, come si ascoltava musica allora, e che bello che bello. Come è giusto e comprensibile che sia, perché loro almeno a un certo punto nel loro presente ci hanno vissuto.

Il fatto che poi da un bel po' ormai i centri di produzione e diffusione della cultura, nella fattispecie musicale, siano così potentemente concentrati nel mondo anglosassone fa sì che in America, in Inghilterra, si possa avere accesso molto più facile e diretto a quello che viene prodotto, senza le mediazioni di cui dobbiamo dotarci noi e che spesso affidiamo ancora a quelli a cui le affidavamo trenta o quarant'anni fa, anche perché in Italia la passione per il posto fisso abbraccia ogni arte e mestiere. Banalmente detto, capire l'inglese è di più di quello che pensiamo di solito, è condividere il clima di una fetta cruciale della cultura contemporanea , sviluppare un interesse personale e una possibilità d'accesso un po' meno mediato, sentire le voci degli attori e non dei doppiatori, provare il brivido di ascoltare il disco di qualcuno che non abbiamo mai sentito nominare, non sapere se ci piacerà o ci farà schifo visto che non ci sono trent'anni di letteratura a recensirlo, sapere che ha iniziato a strimpellare la chitarra più o meno insieme a noi, ricevere insomma una piacevole sensazione di autenticità, nonché poter dire senza sentirsi in colpa che io per esempio adoro gli Who, David Bowie, I Velvet Underground, però dopo un po' che ascolto i Led Zeppelin mi rompo le palle.

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