martedì 11 settembre 2007

Lettera a Romano, quello sveglio

Caro Romano,

i toni apocalittici in cui si esprime Umberto Bossi fanno spesso passare in secondo piano i temi alla base della sua azione politica (e dei voti che prende), non tutti campati in aria.
Uno di questi è il deficit di "potere contrattuale" di cui soffre il nord dell'Italia in rapporto alla sua importanza economica e al suo ruolo storico. Mi sono molte volte chiesto perché, tra le tante discussioni che si fanno intorno alla storia d'Italia e alle storture che l'hanno accompagnata, non abbia mai trovato posto un dibattito serio su una questione secondo me abbastanza cruciale, e cioè l'attribuzione a Roma dello status di capitale di una nazione che non era nata a Roma. Questa fu una decisione politica che aveva dalla sua non molte altre ragioni se non un omaggio all'antico prestigio imperiale di Roma e un'esibizione dell'autorità del Regno sabaudo sul caposaldo del potere temporale del Papa. Ma significò, dal punto di vista pratico, il trasferimento dei poteri politici e amministrativi del nuovo stato in un'area decisamente arretrata economicamente e socialmente, senza alcuna cultura da capitale di uno stato moderno, che Torino invece, con il suo esercito, la sua nascente economia industriale, persino le sue mire espansionistiche, indubbiamente aveva. Lei non crede che questa mossa sia stata una complicazione inutile sulla strada dell'Italia verso la modernità e uno sbilanciamento tra motore politico e motore economico del Paese, di cui si scontano le conseguenze ancora oggi? Era inevitabile che la città che accolse le truppe italiane con le barricate di Porta Pia diventasse la capitale d'Italia?

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